Liturgia e futuro

25 Maggio 2020 By Andrea Grillo

Scritto da Alberto Dal Maso e Luca Palazzi

Il nostro celebrare non sarà più lo stesso?

L’équipe che si è raccolta attorno al tema “liturgia e futuro”, formata da laici e presbiteri con variegate competenze, a partire dalla lettura della attuale situazione, sociale ed ecclesiale, è giunta ad identificare quattro versanti della liturgia (prassi celebrativa e riflessione su di essa) che richiedono un approfondimento.

La domanda iniziale che ha dato spunto al confronto – “Come celebrare la fede in tempo di pandemia?” – si è presto trasformata in un interrogativo più radicale e di più vasto respiro, sintetizzabile così:

Questa situazione inedita quali nuove sfide ci lancia, guardando al futuro ecclesiale, oltre che rituale?


Prima di addentrarsi sugli esiti del confronto, è opportuno mettere in evidenza il processo di riflessione posto in essere dalla équipe e che si è sviluppato parallelamente all’evolversi della situazione e delle risposte politiche ed ecclesiali date lungo questi mesi.

Possiamo compendiare il percorso intrapreso attraverso tre parole chiave:

Svelamento 

La situazione di emergenza ha tolto il velo su tante dimensioni della vita ecclesiale – e rituale in particolare – che la ordinarietà teneva sopite o aveva mitigato, quasi che sotto il cappello della liturgia si fossero potute raccogliere sensibilità e attese diverse, ma anche tensioni irrisolte, che il venire meno del celebrare comune ha finalmente e fatalmente reso palesi.

Questo svelamento ha generato uno smarrimento che si è espresso nella incapacità iniziale a vivere una ritualità domestica, diversa da quella scandita dalla eucarestia quotidiana o settimanale. Si sono rese evidenti alcune fragilità, come la mancanza una grammatica rituale di base, nonché una frattura tra rito e vita, o tra dimensione sapienziale e dimensione rituale, quasi che fosse finalmente concesso dare adito ad una fede senza ritualità.

Livellamento

Il venire meno di qualsiasi forma di celebrazione comunitaria e in particolare della eucarestia, ha portato ad una sorta di livellamento all’interno del corpo ecclesiale che ha segnato profondamente il clero. Il forte ridimensionamento che i presbiteri hanno subìto nel proprio ruolo ha posto domande serie sul senso del celebrare e li ha resi più solidali con chi – in via ordinaria – non può celebrare comunitariamente, o per mancanza di un sacerdote, o perché in una condizione di vita considerata irregolare. Nello stesso tempo, proprio questo livellamento ha lentamente responsabilizzato molti battezzati offrendo lorol’opportunità di pensare e vivere con creatività momenti di preghiera domestica per celebrare la Pasqua e il giorno del Signore. Questa inedita situazione ha forse reso palese la domanda sulla reale fame di eucarestia di molte comunità parrocchiali.

Gradualità

L’aspetto più sorprendente a livello celebrativo è stata la constatazione della fatica da parte del clero a inventare forme rituali intermedie, una volta venuta meno la possibilità di celebrare l’eucarestia. Con una espressione originale che è ritornata di frequente nella équipe, si è constatato – a livello celebrativo – un difetto di progressività, una sorta di passaggio senza gradualità intermedie “da cento a zero e da zero a cento”: dalla eucarestia quotidiana al nulla. La risposta immediata è stata quella di colmare il vuoto creatosi ricorrendo a messe in streaming quale unica risposta “naturale” allo stato di eccezione. La messa è apparsa così come l’unica forma celebrativa esistente e possibile per il nutrimento della fede, senza considerare che proprio le forme celebrative più aderenti al vissuto attuale e capaci di ritualizzarlo come le esequie, l’unzione degli infermi, la riconciliazione, sono state sottovalutate o gestite a livello esclusivamente normativo-canonico, senza cogliere l’opportunità di un reale contatto con la vita delle persone, soprattutto quelle più provate dalla pandemia.

Come esito di questa lunga e appassionata riflessione che a partire dalla dimensione liturgica ha necessariamente toccato molti ambiti teologici, ecclesiologici e ministeriali, è maturato il desiderio di approfondire ulteriormente il dibattito, concentrandosi su quattro ambiti ritenuti più urgenti e insieme fecondi:

Buone pratiche

Se la situazione di pandemia ha reso impossibile celebrare comunitariamente, tuttavia si è assistito al moltiplicarsi di sperimentazioni celebrative alternative. L’affacciarsi della Fase 2 e il probabile ritorno alla celebrazione eucaristica cum populo non devono fare dimenticare le buone pratiche venute alla luce e che molti hanno (ri)scoperto, inventato, sperimentato. In questo senso, sentiamo necessaria una loro raccolta ragionata per non disperderne la ricchezza e non accantonarle come esperienze occasionali, considerandole invece portatrici di elementi e intuizioni da valorizzare.

Liturgia e vita

Certamente l’«urto della realtà», data l’urgenza della situazione e delle domande che suscitava, ha propiziato un rinnovato contatto fra liturgia e vita. Da un lato, colpisce come le celebrazioni capaci di toccare immediatamente il vissuto elementare di tante persone siano quelle che hanno raccolto maggior interesse. Pensiamo alle celebrazioni di Papa Francesco (il 27 marzo; la via crucis del Venerdì Santo; le messe quotidiane). Questo aspetto reclama una presa in carico molto seria della questione. Dall’altro lato, spesso i versanti umanamente più drammatici della attuale pandemia (la morte di un caro senza poterlo accompagnare; la precarietà del lavoro; il distanziamento fisico) sono stati quelli meno ritualizzati o lo sono stati – per lo più – “adattando” in modo legalistico le forme celebrative classiche. Improvvisamente la chiesa si è scoperta afona o impreparata nell’accompagnare le situazioni più fragili e angosciose.

Espressioni celebrative quotidiane

In questo senso la risposta ecclesiale è stata duplice. A livello locale, comunitario, si sono inventate forme celebrative a carattere domestico sostanziate di relazioni, dense di preghiera, ricche di gesti simbolici, nutrite dalla Parola di Dio, capaci di non arrestarsi al livello devozionale. Dall’altro lato si è guardato alla celebrazione eucaristica come la sola capace di dire la relazione con il Risorto; di qui la rincorsa a celebrare messe in tv, in streaming, senza popolo, a registrarle e pubblicarle su canali video ecc. Questo disequilibrio fra un livello domestico-familiare e un livello mediatico-sacrale esige di essere riconosciuto criticamente, nel momento in cui denuncia una mancanza di legittima gradualità nelle forme celebrative (e probabilmente una rigidità indebita da parte di alcuni). Occorre ridare valore a forme intermedie del pregare e del celebrare che tengano conto del vissuto personale, familiare e comunitario.

Lessico

Numerosi sono stati, in queste settimane, gli interventi, le prese di posizione, gli articoli relativi alla liturgia, come anche le domande e le considerazioni sorte dalla riflessione di tanti credenti. Il lessico utilizzato ha tradito spesso il ricorso a termini, concetti, schemi di pensiero che immaginavamo sorpassati, definitivamente archiviati, e ha evidenziato altresì una certa confusione che denota una carenza di comprensione del senso profondo del celebrare così come delineato dalla riforma liturgica inaugurata dal Vaticano II. Da qui la convinzione dell’urgenza di un’opera di chiarificazione sintetica ma rigorosa, onde ritrovare un lessico comune, rinnovando e rinfrescando i significati in gioco.

Membri del gruppo di lavoro:

Andrea Grillo, Morena Baldacci, Paolo Bedogni, Alberto Dal Maso, Umberto Del Giudice, Marco Di Benedetto, Paolo Iannaccone, Luca Palazzi, Carlo Pertusati, Emanuela Provera, Stefano Sodaro.

Condividi: